Riflessioni di Papa Francesco

San Paolo ci dice che noi siamo templi dello Spirito Santo

Io credo – umilmente lo dico – che noi cristiani forse abbiamo perso un po’ il senso della adorazione“. E’ su questa riflessione che Papa Francesco costruisce l’omelia quotidiana nella Chiesa di Santa Marta: l’importanza del ruolo dell’adorazione nella vita del fedele; adorazione a Dio che va compiuta non solo nel Tempio, nella Chiesa intesa come luogo fisico, ma anche nella Chiesa vivente, cioè nell’intimo di ogni cristiano.

La riflessione quotidiana del Pontefice nasce dalla constatazione che molte volte quando ci rechiamo in Chiesa siamo più interessati al contorno, ai riti, ai canti che non alla vera sostanza dell’andare in Chiesa: l’adorazione del Signore.

Nel Tempio si adora il Signore. E questo è il punto più importante” chiarisce il Vescovo di Roma durante l’omelia. La gioia nell’andare al tempio è la gioia che il cristiano prova nell’adorare Dio: “quando si parla della gioia del Tempio, si parla di questo: tutta la comunità in adorazione, in preghiera, in rendimento di grazie, in lode“.

Ma la lode a Dio non è solo esteriore, ma nasce e si riflette nel nostro stesso cuore: è come se la lode che facciamo al Signore sull’altare riverbera dentro nel nostro intimo. “San Paolo ci dice che noi siamo templi dello Spirito Santo” quindi nel momento in cui lodiamo il Signore nell’altare lo lodiamo anche dentro di noi, nel nostro cuore che è il nostro personale tempio che portiamo sempre con noi.

Ma come si fa a lodare lo Spirito Santo che è dentro di noi? Ascoltandolo e seguendolo, risponde Papa Francesco durante la sua riflessione. In questo modo non rattristeremo lo Spirito Santo che è dentro di noi.

Che il Signore ci conceda questo vero senso del Tempio” termina quindi il Vescovo di Roma “per potere andare avanti nella nostra vita di adorazione e di ascolto della Parola di Dio”.

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8 pensieri su “San Paolo ci dice che noi siamo templi dello Spirito Santo

  1. L’omelia del Papa mi ricorda il delicato quadretto di spensierata giovinezza davanti alla monumentale Chiesa di S. Rocco a Cittanova (Reggio Cal.).
    La composizione dello sventurato poeta Salvatore Giovinazzo, deceduto a soli 26 anni nel dicembre 1929, senza essere ricambiato nel suo amore dalla donna desiderata, richiama l’attenzione delle ragazze che si recano a Messa soltanto per essere notate dagli innamorati.
    Riporto dall’opera postuma “Vampi”, nella sua versione originale in vernacolo, “Chi vannu a fari?” (Che cosa ci vanno a fare?). Anche per chi non è calabrese ritengo sia facile cogliere il senso:
    «Alcune, che non intendo nominare, perché si recano per la seconda Messa a San Rocco? Che il terremoto le schiacci!
    Si partono tutte agghindate e succinte, come se dovessero andare a teatro, per essere notate dall’innamorato. Sono tanti, infatti, i giovanotti parati là a cascarci come pere cotte. Le ragazze hanno perso ogni pudore: si girano dietro a fare l’occhialino e durante la Consacrazione sembrano un gregge di pecore. All’uscita dalla chiesa è un vero spettacolo vedere i gesti degli occhi e delle mani dei giovanotti “fischia-lepri” nell’indicare la propria morosa.
    Non bastavano le scene nelle altre località, come nei giardini pubblici!
    Cari miei, in Chiesa si va per pregare altrimenti è meglio rimanere a casa».
    Ed ecco il testo di Salvatore Giovinazzo:

    Chi vannu a fari?

    Vorrìa mu sàcciu jeu chi vannu a fari
    a Santu Roccu, a la secunda Missa,
    certuni, chi non vògghiu nominari,
    (oh terramotu pe’ mu li subissa!).

    Pàrtinu di la casa allicchettati
    comu quandu ca vannu a lu triatu,
    cu’ li giubetti e li saji pressati
    mu su’ viduti di l’annamuratu.

    Pecchì dà tanti e tanti giuvanotti,
    parati, allerti, avanti a lu portedu
    a nzo cu trasi, comu pira cotti
    càdinu ‘i ncodu – povaru cervedu! –

    Pe’ chissu poi non nd’hannu senzu letu
    mancu a li vanchi dassusu, seduti,
    e si la fannu occhijandu pe’ d’arretu
    – lu scornu lu perdiru ‘ssi tingiuti

    fìmmani! – Quandu sagra, speciarmenti,
    sunnu daveru cosi ‘i meravìgghia
    videndu rivotati tanti genti
    chi pàrinu li pècuri a mandrìgghia.

    Quandu nèscinu fora, atru baccanu!
    Tutti li frischialepri, dà fermati,
    fannu nzinghi cu’ l’occhi e cu’ la manu
    mostrandu a l’atri li so’ innamurati.

    No’ abbastava la Prisa e Marinedu
    e la funtana di ntra lu cerdinu,
    ca puru a Santu Roccu – me’ gioiedu! –
    ndi fannu cchiù ‘i Guerinu lu Mischinu!

    A la Missa si va cu’ divuzioni,
    se no è mègghiu mu si dassa stari!
    Chissi, chi vannu senza ntenzioni
    di lu Signuri, chi nci vannu a fari?

    Chiedo venia ai lettori per la mia digressione.
    E, per onor di cronaca, terminerò l’evento del poeta con le parole di De Cristo: «La pallida, spettrale Selene non aveva compiuto due volte il suo corso dacché il poeta riposava in grembo alla Terra madre, che la fanciulla (del poeta, nda), colpita da male inguaribile, chiudeva alla luce i suoi meravigliosi occhi azzurri».

    Ha ragione il Santo Padre: Il punto più importante è che nel tempio si va per adorare il Signore.

    Domenico Caruso – S. Martino di Taurianova (R.C.)

    1. I tempi, caro Domenico, non sono cambiati, come la Poesia in vernacolo del Giovinazzo descrive perfettamente il comportamento dei giovani di quel tempo che andavano in Chiesa, non per la Messa ma a trovarsi la fidanzata, così anche oggi, visto che le opportunità di incontro sono cambiate (c’è chiu manu larga per le ragazze), si continua a prendere la Chiesa come passerella per fare sfoggio della propria bellezza ed eleganza facendo a gara per mostrarsi con vestiti all’ultima moda e firmati dai più valenti stilisti del momento. Giuste e sante le parole di Papa Francesco che ammonisce di andare in Chiesa ad adorare ed ascoltare la Parola di Dio.

  2. L’omelia del Papa mi ricorda il delicato quadretto di spensierata giovinezza davanti alla monumentale Chiesa di S. Rocco a Cittanova (Reggio Cal.).
    La composizione dello sventurato poeta Salvatore Giovinazzo, deceduto a soli 26 anni nel dicembre 1929, senza essere ricambiato nel suo amore dalla donna desiderata, richiama l’attenzione delle ragazze che si recano a Messa soltanto per essere notate dagli innamorati.
    Riporto dall’opera postuma “Vampi”, nella sua versione originale in vernacolo, “Chi vannu a fari?” (Che cosa ci vanno a fare?). Anche per chi non è calabrese ritengo sia facile cogliere il senso:
    «Alcune, che non intendo nominare, perché si recano per la seconda Messa a San Rocco? Che il terremoto le schiacci!
    Si partono tutte agghindate e succinte, come se dovessero andare a teatro, per essere notate dall’innamorato. Sono tanti, infatti, i giovanotti parati là a cascarci come pere cotte. Le ragazze hanno perso ogni pudore: si girano dietro a fare l’occhialino e durante la Consacrazione sembrano un gregge di pecore. All’uscita dalla chiesa è un vero spettacolo vedere i gesti degli occhi e delle mani dei giovanotti “fischia-lepri” nell’indicare la propria morosa.
    Non bastavano le scene nelle altre località, come nei giardini pubblici!
    Cari miei, in Chiesa si va per pregare altrimenti è meglio rimanere a casa».
    Ed ecco il testo di Salvatore Giovinazzo:

    Chi vannu a fari?

    Vorrìa mu sàcciu jeu chi vannu a fari
    a Santu Roccu, a la secunda Missa,
    certuni, chi non vògghiu nominari,
    (oh terramotu pe’ mu li subissa!).

    Pàrtinu di la casa allicchettati
    comu quandu ca vannu a lu triatu,
    cu’ li giubetti e li saji pressati
    mu su’ viduti di l’annamuratu.

    Pecchì dà tanti e tanti giuvanotti,
    parati, allerti, avanti a lu portedu
    a nzo cu trasi, comu pira cotti
    càdinu ‘i ncodu – povaru cervedu! –

    Pe’ chissu poi non nd’hannu senzu letu
    mancu a li vanchi dassusu, seduti,
    e si la fannu occhijandu pe’ d’arretu
    – lu scornu lu perdiru ‘ssi tingiuti

    fìmmani! – Quandu sagra, speciarmenti,
    sunnu daveru cosi ‘i meravìgghia
    videndu rivotati tanti genti
    chi pàrinu li pècuri a mandrìgghia.

    Quandu nèscinu fora, atru baccanu!
    Tutti li frischialepri, dà fermati,
    fannu nzinghi cu’ l’occhi e cu’ la manu
    mostrandu a l’atri li so’ innamurati.

    No’ abbastava la Prisa e Marinedu
    e la funtana di ntra lu cerdinu,
    ca puru a Santu Roccu – me’ gioiedu! –
    ndi fannu cchiù ‘i Guerinu lu Mischinu!

    A la Missa si va cu’ divuzioni,
    se no è mègghiu mu si dassa stari!
    Chissi, chi vannu senza ntenzioni
    di lu Signuri, chi nci vannu a fari?

    Chiedo venia ai lettori per la mia digressione.
    E, per onor di cronaca, terminerò l’evento del poeta con le parole di De Cristo: «La pallida, spettrale Selene non aveva compiuto due volte il suo corso dacché il poeta riposava in grembo alla Terra madre, che la fanciulla (del poeta, nda), colpita da male inguaribile, chiudeva alla luce i suoi meravigliosi occhi azzurri».

    Ha ragione il Santo Padre: Il punto più importante è che nel tempio si va per adorare il Signore.

    Domenico Caruso – S. Martino di Taurianova (R.C.)

  3. Ogni giorno con la Sua omelia parla direttamente alle coscienze di ogni uno di noi, Grazie,che il signore Ti illumini sempre più caro Papa Francesco e ti conservi in buona salute . Grazie

  4. La preghiera contemplativa deve essere cibo quotidiano,solo cosi’ potremo rimanere in ascolto,ma non tutti hanno lo stesso sentire,i commenti,smuovono al dialogo e chi non ha ancora sperimentato la preghiera contemplativa,prendendo esempio da S.Teresa D’Avila,da S.Giovanni della Croce,potra’ iniziare in qualsiasi momento chiedendo aiuto proprio allo Spirito Santo.

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