Riflessioni di Papa Francesco

L’unità è un dono che va chiesto con insistenza per il bene della nostra terra e dei suoi figli.

 

Papa Francesco ringrazia Dio per averlo permesso di visitare l’Araucanía: terra benedetta dal Creatore con la fertilità dei immensi campi verdi, foreste colme di imponenti araucarie i suoi maestosi vulcani innevati, i suoi laghi e fiumi pieni di vita. Molte generazioni di uomini e donne hanno amato e amano questo suolo con gelosa gratitudine. Il Santo Padre inoltre saluta in modo speciale i membri del popolo Mapuche e gli altri popoli indigeni che vivono in queste terre australi: Rapanui (Isola di Pasqua), Aymara, Quechua e Atacama, e molti altri.

Questa terra che da lontano sembra un paradiso se invece ci avviciniamo al suolo lo sentiremo cantare: «Arauco ha un dolore che non posso tacere, sono ingiustizie di secoli che tutti vedono commettere».

In questo contesto di ringraziamento per questa terra e per la sua gente il Santo Padre celebra l’Eucaristia nell’aerodromo di Maqueue, nel quale si sono verificate gravi violazioni di diritti umani. Offriamo questa celebrazione per tutti coloro che hanno sofferto e sono morti e per quelli che, ogni giorno, portano sulle spalle il peso di tante ingiustizie. Il sacrificio di Gesù sulla croce è carico di tutto il peccato e il dolore dei nostri popoli, un dolore da riscattare.

Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù prega il Padre che «tutti siano una cosa sola». In un’ora cruciale della sua vita si ferma a chiedere l’unità. Il suo cuore sa che una delle peggiori minacce che colpisce e colpirà il suo popolo e tutta l’umanità sarà la divisione e lo scontro, la sopraffazione degli uni sugli altri. Quante lacrime versate! Oggi vogliamo fare nostra questa preghiera di Gesù, vogliamo entrare con Lui in questo orto di dolore, anche con i nostri dolori, per chiedere al Padre con Gesù: che anche noi siamo una cosa sola. Non permettere che ci vinca lo scontro o la divisione.

L’unità è un dono che va chiesto con insistenza per il bene della nostra terra e dei suoi figli. E bisogna stare attenti a possibili tentazioni che possono apparire e “inquinare dalla radice” questo dono che Dio ci vuole fare e con cui ci invita ad essere autentici protagonisti della storia. Quali sono queste tentazioni? Una è quella dei falsi sinonimi. Una delle principali tentazioni da affrontare è quella di confondere unità con uniformità. L’unità è una diversità riconciliata perché non tollera che in suo nome si legittimino le ingiustizie personali o comunitarie. Un bel chamal (manto) richiede tessitori che conoscano l’arte di armonizzare i diversi materiali e colori. L’arte dell’unità esige e richiede autentici artigiani che sappiano armonizzare le differenze nei “laboratori” dei villaggi, delle strade, delle piazze e dei vari paesaggi. Abbiamo bisogno gli uni degli altri nelle nostre differenze affinché questa terra continui a essere bella. È l’unica arma che abbiamo contro la “deforestazione” della speranza. Ecco perché chiediamo: Signore, rendici artigiani di unità.

Un’altra tentazione può venire dalla considerazione di quali sono le armi dell’unità. Ci sono due forme di violenza che minacciano l’unità. In primo luogo gli accordi “belli” che non giungono mai a concretizzarsi. Belle parole, progetti conclusi sì – e necessari – ma che non diventando concreti finiscono per “cancellare con il gomito quello che si è scritto con la mano”. Anche questa è violenza. Perché? Perché frustra la speranza. In secondo luogo, è imprescindibile sostenere che una cultura del mutuo riconoscimento non si può costruire sulla base della violenza e della distruzione che alla fine chiedono il prezzo di vite umane.

Questi atteggiamenti sono come lava di vulcano che tutto distrugge. Per questo diciamo con forza: Signore, rendici artigiani della tua unità.

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