Riflessioni di Papa Francesco

La nostra speranza davanti alla morte è una porta spalancata

 

L’udienzia generale di questa mattina 18 di ottobre è incentrata nel confronto tra la speranza cristiana con la realtà della morte, una realtà sempre meno nota. Così, quando la morte arriva ci troviamo impreparati, privi anche di un “alfabeto” adatto per abbozzare parole di senso intorno al suo mistero. Eppure i primi segni di civilizzazione umana sono transitati proprio attraverso questo enigma. Potremmo dire che l’uomo è nato con il culto dei morti.

Molte civiltà, prima di noi, hanno avuto il coraggio di guardarla in faccia. Era un avvenimento raccontato dai vecchi alle nuove generazioni, come una realtà che obbligava l’uomo a vivere per qualcosa di assoluto. Recita il salmo 90: «Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio». Cominciamo così a porci le solite domande del tipo: cosa siamo noi? Siamo «quasi un nulla», dice un altro salmo, i nostri giorni scorrono via veloci: vivessimo anche cent’anni, alla fine ci sembrerà che tutto sia stato un soffio.

Così la morte mette a nudo la nostra vita. Ci fa scoprire che i nostri atti di orgoglio, di ira e di odio erano solamente vanità. Ci accorgiamo con rammarico di non aver amato abbastanza e di non aver cercato l’essenziale. E, al contrario, vediamo quello che di veramente buono abbiamo seminato: gli affetti per i quali ci siamo sacrificati, e che ora ci tengono la mano.

Così Gesù ha illuminato il mistero della nostra morte afferma il Santo Padre e che col suo comportamento ci fa sentire addolorati quando una persona cara se ne va. Lui si turbò «profondamente» davanti alla tomba dell’amico Lazzaro, e «scoppiò in pianto». Così Gesù prega il Padre e ordina a Lazzaro di uscire dal sepolcro. La speranza cristiana prende spunto da questo atteggiamento: se la morte è presente nella creazione, essa è però uno sfregio che deturpa il disegno di amore di Dio, e il Salvatore vuole guarircene.

Se leggiamo i vangeli scopriamo di un padre che ha la figlia molto malata, e si rivolge con fede a Gesù perché la salvi. Gesù si incammina con quell’uomo, che si chiamava Giairo e ad un certo punto arriva qualcuno dalla casa di Giairo e gli dice che la bambina è morta, e non c’è più bisogno di disturbare il Maestro. Ma Gesù dice a Giairo: «Non temere, soltanto abbi fede!» (Mc 5,36). Gesù sa che quell’uomo è pieno di rancore per la morte della piccola, gli raccomanda così di custodire la piccola fiamma che è accesa nel suo cuore: la fede. “Non temere, soltanto abbi fede” fu così che arrivati a casa, risveglierà la bambina dalla morte che la restituirà viva ai suoi cari.

Gesù ci mette su questo “crinale” della fede. A Marta che piange per la scomparsa del fratello Lazzaro oppone la luce di un dogma. Tutta la nostra esistenza si gioca qui, tra il versante della fede e il precipizio della paura. Dice Gesù: “Io non sono la morte, io sono la risurrezione e la vita, credi tu questo?, credi tu questo?”. Noi, che oggi siamo qui in Piazza, crediamo questo?

E allora il Santo Padre ci fa capire che davanti al mistero della morte siamo tutti piccoli e indifesi. Però, che grazia se in quel momento custodiamo nel cuore la fiammella della fede! Gesù ci prenderà per mano, come prese per mano la figlia di Giairo, e ripeterà ancora una volta: “Talità kum”, “Fanciulla, alzati!”. E così Gesù dirà a noi: “Rialzati, risorgi!”. Io vi invito, adesso, a chiudere gli occhi e a pensare a quel momento: della nostra morte. Lì finirà la speranza e sarà la realtà, la realtà della vita. Gesù stesso verrà da ognuno di noi e ci prenderà per mano, con la sua tenerezza, la sua mitezza, il suo amore. E ognuno ripeta nel suo cuore la parola di Gesù: “Alzati, vieni. Alzati, vieni. Alzati, risorgi!”.

Questa è la nostra speranza davanti alla morte. Per chi crede, è una porta che si spalanca completamente; per chi dubita è uno spiraglio di luce che filtra da un uscio che non si è chiuso proprio del tutto.

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